Erano quindici giorni almeno che pianificavo la spedizione: portare Dorothea a vedere Frozen II.
Intendiamoci, non è che a Dorothea importasse più di tanto scoprire il segreto della regina dalla candida treccia. Piuttosto, mi sembrava un buon pretesto, anzi il pretesto migliore per fare le nostre prove di avvicinamento al mondo.
Prove generali, con l’aiuto di Lavinia, l’educatrice domiciliare.
Il destino di Dorothea, in effetti, mi ricorda molto da vicino quello di Elsa. Un’ansia micidiale blocca entrambe.
Elsa è diversa da tutti gli altri, un mistero su cui i genitori si dannano per trovare una risposta, senza venire a capo di nulla.
Elsa, rannicchiata contro la porta. Non vuole, non può aprire. È vestita a lutto. La ripresa dall’alto mostra i fiocchi di neve che galleggiano nell’aria. Una scena grandiosa e terribile, perché rende il peso della solitudine di chi non si sente all’altezza, di chi rimane confinato oltre una barriera di impotenza.
Dopo tutta una serie di peripezie, minacce e un sommo sacrificio c’è l’happy ending Disney. Ed è forse nella speranza che la favola si realizzi, anche per noi, che ho individuato in Frozen II l’auspicio di una rivincita sull’isolamento e sulla paura. Guarda caso, il Leit Motiv del sequel è il viaggio nell’Ignoto.
Volete sapete com’è andata la nostra spedizione?
La mia Dorothea-Elsa già dal mattino diceva di avere il mal di pancia, si rifiutava di uscire da sotto le coperte, non voleva andare a scuola.
All’incertezza psicologica dovevo controbattere con tutte le misure di sicurezza: fase 1. Già da prima avevo individuato il cinema con il maggior spazio tra una fila e l’altra, e scelto un giorno e un orario in cui era assai probabile che la sala fosse semivuota, poi ho contattato il cinema per sapere se il volume dell’audio non fosse troppo alto, e invitato una compagna di scuola, Aya, che è un po’ “una guardia del corpo” di mia figlia. Tocco finale: doppia razione di pop corn, in caso di emergenza.
Biglietti acquistati online per evitare di sostare nello spazio biglietteria. Sulla schermata delle prenotazioni mi confortava vedere che, a parte noi, ci fosse solo una decina di posti già andati, su trecentocinquanta.
I preparativi alla visione sono andati lisci come l’olio, fino a dieci minuti prima: quando arriviamo al controllo biglietti su delle poltroncine ci sono un sei o sette bimbe di cinque anni, vestite da Elsa. Ok, mi dico, eccoci nel vivo della faccenda: fase 2.
Dorothea le registra immediatamente, il suo calcolatore interno elabora, mi sembra come di sentire il segnale di allarme rosso. Lei fa un mezzo giro per evitare di entrare nella sala, ma Lavinia la conduce in avanti.
Non facciamo in tempo a occupare i nostri posti che entrano le bambine, sono qualche fila dietro di noi. Dorothea si alza in piedi, le individua a una a una attraverso il suo radar speciale e con la sua voce, quasi inudibile per il gran chiasso di un trailer, pigola:
“Bambine, silenzio!”
Miracolo, le bambine fanno quello che lei vuole. Ma è solo perché il film sta per iniziare.
Dorothea batte le mani, entusiasta, non credo sia per l’inizio della visione, o meglio, non solo per quello.
Le prime scene già la conquistano, sono una realtà così vicina a quella che lei conosce: Anna ed Elsa, tra i sei e gli otto anni, sono sul letto, attaccate alla mamma, la regina Iduna, che canta una canzone, per farle addormentare.
Quella beata sospensione dura poco, basta una parolina che arriva da su e Dorothea esce dalla magia per entrare nuovamente in allarme: sono lì, e anche se stanno quiete, ridono e parlano e tutto questo senza che lei possa fare niente.
Dorothea reagisce a modo suo, mangia i pop corn dalla busta come in preda a una fame nervosa e a un certo punto, con un moto di stizza, scaglia in aria quel che rimane del contenuto. Entro nella fase 3, genitore dispiaciuto: bisbiglio delle parole di scusa alla coppietta davanti a noi, che si è vista cadere addosso la neve insolita, questa volta mi va di lusso: i pop corn, grazie a Dio, sono leggeri.
Con Lavinia, seduta due sedili più in là, ci scambiamo uno sguardo: possiamo ancora rimanere, la sfida va avanti. Fase 4, mantenimento.
Dorothea è ancora avvinta da quello che accade sullo schermo, ma rimane sempre agganciata al pensiero di non potersi distendere. Fossimo a casa, sarebbe seduta vicino a me, a bocca aperta, a godersi le canzoni, nota per nota, ma non possiamo continuare a rimanere a casa tutta la vita, anche Elsa a un certo punto prende il largo, ed è per questo che oggi siamo qui a condividere ansia e piacere, a miscelarne le quantità, e allo stesso tempo a imparare a scindere una dall’altra.
Fase 5, punto critico: siamo a tre quarti del film e la tensione prevale, Dorothea dice di voler andare via. L’abbraccio, la calmo, come fa all’inizio del film la regina Iduna con Elsa, intimorita dai propri poteri misteriosi. E anche Dorothea, per fortuna, si placa.
Lo spettacolo termina, Elsa, vittoriosa ha riacquistato la propria serenità e Dorothea non ha abbandonato la sala prima del tempo. Non ci credo nemmeno io, dovrebbe essere la fase 6, credo, ma francamente a questo punto non mi importa più di nulla.
La sola cosa che conta è che Dorothea si alza, leggera, soave, vittoriosa. È rimasta fino in fondo, ce l’ha fatta! Le domando se le sia piaciuto il film, mi risponde di sì.
Chi preferisci, Anna o Elsa? La domanda che immagino facciamo anche gli altri genitori, ci voglio sguazzare, in questo scampolo di quasi normalità. E lei: Anna. Lo dice subito, senza esitare. Ma, del resto, che cosa direbbe Elsa?
Artwork di Nikki McClure
Brave tutt’e due!
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Grazie, eh eh!
Un passo avanti, caro Romolo!
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L ho letto tutto d’un fiato, con la pelle d’oca, sperando proprio che di concludesse in questo modo!!! Vi voglio bene Wabisaby e DOROTHEA!!!!
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Grazie Stefi! che sorpresa trovarti qui 🙂 anche noi ti vogliamo bene!
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