
Io mi sento presa in giro. Dopo più di due mesi chiusa in casa, a far da madre, terapista, maestra a mia figlia. A mettere guanti, mascherine, a compilare autocertificazioni.
Da un giorno all’altro i parchi cittadini si riempiono, i negozi riaprono. Le strade di Milano si caricano di nuovo traffico. Come se niente fosse esistito.
Lo chiamano “ritorno alla normalità”.
Ma quale normalità?
Per chi, poi?
Si parla di come disporre gli ombrelloni a distanza di sicurezza, ma non di scuola. Di come fare spazio per i tavolini dei bar sulle strade. Non c’è spazio non c’è creatività non ci solo soldi per distanziare i banchi di scuola.
La scuola, che è fondamentale per bambini e ragazzi. Non si tratta solo di geometria, o di inglese. Si tratta di grammatica della vita civile, di accoglienza, di formazione, di educazione, di inserimento sociale.
Dorothea non è riuscita a fare una singola video-lezione con i compagni. Lei davanti a un computer è già tanto se ci sta un quarto d’ora. Se siamo riusciti a mantenere un legame con la classe è stato grazie alla buona volontà delle sue insegnanti, che cercano comunque di coinvolgerla con delle attività, a distanza. Che ogni giorno, alle cinque la fanno incontrare per dieci minuti con due o tre compagni su Meet.
Ecco, la normalità forse sta nel fatto che in Italia i bambini e i ragazzi contano poco, e che i disabili sono invisibili.
Le unità di terapia sono chiuse. Non quelle di terapia di intensiva, quella dell’emergenza covid-19. Quella dell’emergenza che vive quotidianamente chi ha bisogno di riabilitazione: motoria, logopedica, cognitivo comportamentale… si cerca di supplire a distanza. Ma è più un pro-forma che un reale supporto. Chi ha cercato di andare oltre, attivando uno scambio reale è stata l’associazione l’abilità, dopo il 4 maggio. Ma si tratta di una onlus.
La normalità? In Italia è la retorica.
E la burocrazia.
L’altro giorno la neuropsichiatra di Dorothea, mi ha chiamato al telefono per avere novità, perché mia figlia non riesce a fare logopedia al computer.
Gliel’ho proprio detto chiaro e tondo: Dorothea ha bisogno di contatto umano. E per farle meglio capire le ho raccontato di come invece avesse tratto beneficio da una passeggiata di mezz’ora con le sue maestre. Erano venute a vedere come stava, con tanto di guanti e mascherine P2.
E la neuropsichiatra, basita, mi chiedeva che procedura avessero fatto per poter venire da noi.
Quale protocollo, quale autorizzazione?
Le ho risposto che lo avevano fatto per umanità.
Triste realtà purtroppo sommersa. Un abbraccio amica mia (anche se solo virtuale)
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già… ricambio l’abbraccio, caro Romolo.
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Wabi aspettavo un tuo post è già può’ suonare sbagliato. Mi è capitato di pensarti. Mi piace la tua scrittura e il tuo sguardo: So che tutto può stonare e sembrare inopportuno ho così paura di dire parole sbagliate. Il mio più grande rispetto. Sai materializzare alcune sensazioni che ho provato (forse senza neanche averne il diritto) e che altrimenti rimarrebbero solo sentori senza forma.
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Grazie davvero Emma, che cara che sei. in realtà in queste settimane avevo scritto anche altre bozze di post, ma all’ultimo subentrava sempre un inghippo e non avevo tempo per finalizzarli, rimanevano lì e quando finalmente li rileggevo erano ormai “superati”. Sei davvero molto gentile a leggere quello che scrivo e a scrivermi il tuo rimando, davvero prezioso, spesso mi chiedo se quello che scrivo non serva più che altro a me stessa, per fare un punto su quello che sto vivendo, il fatto di avere qualcuno che legge è un arricchimento ulteriore. ti mando un grando abbraccio, buona serata.
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confermo che io leggo e mi arrichisco!
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