Sabato pomeriggio, una sala cinematografica. Tutti i sedili, ma proprio tutti, sono pieni di ragazzini e genitori. No, non si tratta di un ennesimo film da botteghino.
Sullo schermo gigante campeggia l’immagine di una bambina di dieci anni: caschetto nero, perfetto, occhi a mandorla gentili, di quelli che ti sanno guardare attraverso e lasciano un’impronta che non dimenticherai più. Lei sta sorridendo, sta dicendo qualcosa, ma è impossibile seguirla perché una voce è esplosa tra le poltrone della sala, nella semioscurità e chiama, implorando:
“Elena, Elena!”
E altre voci danno seguito:
“Elena, Elena!”
La bambina sullo schermo sorride, ma l’immagine sfuma.
Lei non c’è più.
…
Di Ale Hu non so molto. Il suo nome viene spesso pronunciato da Dorothea, nei suoi giochi, e compare anche sul suo quaderno, in fondo alla pagina, con la dicitura “fatto insieme ad Ale Hu”. Dorothea mi ha anche detto una volta che era il suo “moroso”. Non so se con questo termine intendesse proprio l’innamorato, ma anche io alla sua età avevo finito per invaghirmi del mio compagno di banco, quindi ci può stare, soprattutto considerando che Ale Hu è un bel bambino. Da quanto ho capito non è molto estroverso, ma si fa voler bene, è servizievole e crea splendidi origami per la classe.
Ale Hu vive due mondi: quello della scuola e quello della cultura di appartenenza, inaccessibile.
Sua madre parla solo cinese e lui le fa da interprete quando occorre.
È un bambino “ponte”, come ce ne sono tanti altri nella scuola di Viale Bodio.
Filippine, Senegal, El Salvador, Perù.
In classe con lui c’è un’altra bambina cinese, Sofia, una piccola Mulan di porcellana. Oltre la lingua, però, i due non condividono molto.
Quello che proprio non sapevo, di Ale Hu, è che dentro portasse un grande amore. E questo è quanto mi ha raccontato una delle sue insegnanti.
Un amore puro, e come tutti i grandi amori, condizionato, o meglio “funestato”.
Elena gli è piovuta nella classe da chissà quale regione dell’immensa Cina, due anni fa.
Elena io me la ricordo bene: carnagione scura, denti perfetti, alta ben sopra la media. Loquace, sorridente, curiosa, premurosa, soprattutto con mia figlia.
Una bambina “ponte”, anche lei.
Ma torniamo ad Ale Hu: lui trova in lei tutto quello di cui aveva bisogno e cioè una confidente, un’amica. E molto di più. Elena è il suo primo riferimento e quando, all’inizio della terza, non la trova seduta tra i banchi, scopre il terribile peso dell’assenza.
Elena si è trasferita, nessuno sa però dove. Ale Hu, perduto il suo appoggio, si chiude in se stesso.
Eppure non smette di sperare di poterla rivedere, con quella speranza tenace e assurda del cuore infiammato.
Passano i mesi, rimane la brace.
Inizia un nuovo anno scolastico. Gennaio 2020, arrivano giorni molto difficili, in cui infuriano notizie allarmanti su un virus mortale. Il Ministero della Salute chiede di diffondere misure di profilassi su chi arriva e torna dalla Cina, anche tra gli scolari.
Chissà se Elena è tornata al suo paese di origine, se rischia qualcosa?
Ale Hu se lo domanda, mentre i milanesi disertano i festeggiamenti del nuovo anno cinese in Paolo Sarpi. La paura di contrarre il virus serpeggia e innalza altre barriere invisibili.
La comunità scolastica di Viale Bodio, quella grazie a Dio rimane sobria, e i programmi vanno avanti, come al solito, senza impedire a nessuno degli scolari della 4D, la classe di Ale Hu, di ritrovarsi assieme a tanti altri bambini lo scorso sabato pomeriggio, in una celebre multisala di Milano.
Lì verranno proiettati i video del progetto ImmaginNation cui hanno partecipato anche altre scuole: sei classi raccontano in altrettanti video i valori della comunità e dell’accoglienza di una nazione ideale.
Ale Hu si siede, si mette comodo. Con lui c’è persino sua mamma: che cosa riuscirà a capire poco importa, il fatto che ci sia sottolinea l’importanza del momento.
Ale Hu non può immaginare il colpo di scena che lo attende, e che solo un consumato sceneggiatore potrebbe ideare: sullo schermo, con il suo sorriso gentile, appare il suo caschetto preferito. E il sorriso e gli occhi che lo hanno fatto innamorare.
Chiama :“Elena!”.
I suoi compagni lo sostengono e chiamano “Elena!”, anche loro.
Il resto del tempo Ale Hu non perde tempo a guardare i video, nemmeno quello della sua classe, ma rimane vigile, come una marmotta fuori dalla tana ruota la testa tutt’attorno a sé, scrutando i volti dei presenti.
Inutile, Elena non c’è.
Le insegnanti, che sono state testimoni di questo grande amore e lo vogliono aiutare, riescono a contattare le colleghe dell’altra scuola.
Elena si è già trasferita, questa volta fuori Milano, adesso si trova in Puglia.
Ale Hu continua a sperare.
Un giorno la ritroverà.
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Ringrazio la maestra Eleonora che mi ha messo a conoscenza di questa storia (il titolo che ho usato nel post è suo), e che ha fatto sì che il progetto della classe venisse realizzato.
Questo è il video realizzato dalla 4D per il progetto ImaginNation
Finalmente una bella storia d’amore in questi tempi avvelenati
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Il mio augurio di buon San Valentino 😉
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Che bella storia dolce amara. Mi sono commossa…
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Vero, Gisella, dolce-amara. io sono dell’idea che finirà bene:-)
buona notte cara
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Io incrocio le dita….
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