“Posso regalarti questo sasso?”
Mi giro e la vedo. Sarà alta neanche un metro. Il bikini con il pezzo in alto solo per figura, il corpo cesellato e brunito, è identica alla bambola della principessa Vaiana che Dorothea ha ricevuto in regalo qualche anno fa.
Ma sta davvero rivolgendosi a mia figlia?
“Bambina – insiste –prendi questo sasso”.
Non ci sono altre bambine nei paraggi, dunque è confermato, questa piccola divinità sta cercando di attirare l’attenzione di mia figlia. Dorothea, da parte sua, non la sente. O almeno non la sente come quando non vuole sentire perché si dedica ad altro: è il mare che lei vuole, e le sue cosce tornite sono già immerse nell’acqua e lei ne sbatacchia la superficie con le mani sollevando spruzzi.
La divinità non cede mica, e allunga un braccio:
“Questo è per lei” mi dice seria, con il mento alzato in direzione di Dorothea. E adesso nella mia mano c’è questa offerta bianca e bitorzoluta. Un semplice sasso, un diamante.
Balbetto, mi confondo. Corro a mettere la reliquia nello zaino: sasso per Dorothea, da una bambina. Intanto mi chiedo: perché? Gliel’hanno detto i genitori di fare un gesto carino per colei che è diversa? Sulla spiaggia non c’è quasi più nessuno, sono le sette di sera. E quelli che potrebbero essere i genitori della divinità stanno discosti e sembrano non prestare attenzione alla scena.
“Hai visto, ti hanno fatto un regalo” dico a Dorothea, ma lei, incurante delle mie parole, continua a schiaffeggiare l’acqua. Lei che un paio di mesi fa cercava di giocare con altri bambini proprio su questa spiaggia e tutti che si allontanavano da lei. Lei che scappava perché poi quegli stessi bambini con il loro vociare la inquietavano.
Avanzo fino a immergere i polpacci e mi sciolgo nell’abbraccio disteso del mare.
“Possiamo stare con voi?”
La divinità si è messa i braccioli e si è doppiata, in una versione leggermente più piccola. Fa le presentazioni:
“Lei è mia sorella Gaia”
“E tu come ti chiami?” domando, con la voce di chi finge che sia una cosa da niente.
“Io sono Mia”.
Eh certo, non poteva essere diversamente. Mia, soggetto e possesso. Identità e riflesso, visione e profondità.
Mi do da fare nel mio ruolo di “facilitatore” tra loro e Dorothea, che continua a ignorarle. Dentro di me scuoto la testa. Però, mia figlia è proprio un bell’elemento: dico, adesso che c’è chi le vuole stare vicino fa la superiore. Forse sono troppo piccole, non la ispirano. Non risponde alle domande del come ti chiami e quanti anni hai. Intervengo, sorrido, gioco con qualche battuta, tutto perché le sorelline non vadano via. E sono in preda al timore che adesso vedranno che lei non è come tutti gli altri, e la lasceranno qui.
E no invece che non vanno via. Vogliono sapere che classe fa questa bambina misteriosa, e cominciano a saltare esattamente come fa lei e ridono, ma non con intento di scherno, la imitano così come ai bambini più piccoli piace copiare quelli più grandi. Dorothea finisce con l’accettarle, risponde alle loro domande con i suoi interventi dadaisti, parole esplose dal cilindro della sua immaginazione: “Tetto – marrone – trapano – lavatrice”. Quelle ovviamente non capiscono, io mi fingo interprete finché lei non rivendica la mia attenzione su di sé, chiededomi di fare i tuffi che la divertono.
“Tuffo bomba” scandisce perentoria. Mi richiama alla realtà e lo fa con uno sguardo eloquente: sono sua mamma. Per rimediare mi esibisco in questa specialità perfezionata negli anni, che è poi uno splash da balena, niente di acrobatico, né di artistico, e con questo entro nella mia dimensione di animatrice da quattro soldi. Ride Dorothea, ma ridono anche Gaia e anche Mia, e a turno si mettono tutte e tre alla prova nel tuffo a bomba. Rimango sospesa sul filo del miracolo: stiamo giocando in acqua, con altre bambine. Le sorelle parlano a voce alta, gridano, lanciano esclamazioni e Dorothea non è infastidita e anzi è divertita dalla loro chiassosa stupidera che la avvolge come una forza centripeta. Lei esclama: “Effebum” e quelle, di rimando: “Effebum effebum!”
I genitori delle due bambine sono venuti sul bagnasciuga, sorridono e approvano. Le lasciano giocare ancora un po’, quindi le invitano a uscire, ormai è ora di cena. Prima di sgusciare via dall’acqua, Mia mi domanda, in modo confidenziale:
“Ma perché tua figlia parla in modo strano?”
“Ha… qualche problema…” e non so come continuare.
Non ce n’è bisogno, ché lei mi fa sì con la testa:
“Anche io ho qualche problema…” Saluta, olimpica e va dalla madre.
Il sole è tramontato, l’aria si è rinfrescata e dovremmo uscire anche noi, ma Dorothea è un’irriducibile del bagno serale. Finalmente riesco a tirarla fuori e rimaniamo sulla sabbia, vicine, avvolte nell’asciugamano, a guardare le onde che accarezzano la sabbia e sciacquano via i problemi, ma proprio tutti.
Anche io ho qualche problema…. posso essere tuo amico lo stesso?
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…ma non lo eravamo già? 🙂 🙂
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Ma certo! 😘
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