A Paperopoli tutto bene

donald_vitruvio

Quattro mesi con Paperino, tra il divano e l’amaca, i monopattini di Qui, Quo e Qua in giardino, le monete di Paperone da lucidare, le foto incorniciate di Paperina e i viaggi per le strade del Calisota a bordo della mitica 313. Ho degustato l’opera omnia di Barks, pagina per pagina, volume per volume (che in tutto sono 48) più altre diecimila pagine di “best of” usciti dalle matite di Scarpa, Carpi, De Vita, Cavazzano, solo per citare i grandi maestri del fumetto italiano.

Questo progetto, che ho accettato di svolgere non senza patemi d’animo, ha messo da parte momentaneamente tutto il resto. Dovevo dare una presentazione di Lui, il Marinaio col becco, e del mondo che anima, insieme agli altri grandi personaggi che gli fanno compagnia. Ho accettato la sfida come un giro largo che mi avrebbe portato chissà dove e sono andata avanti in un umile apprendistato, che a ogni vignetta consolidava la devozione.

Scadenze rigorose e tanto da raccontare. Chi poteva mettere il naso fuori dal mondo dei Paperi? Nei fumetti, da inizio anni 40 ai giorni d’oggi, li ho ritrovati, ma anche scoperti come per la prima volta. Visti con gli occhi di un adulto, non più di una bambina o della ragazza che aveva avuto la fortuna di entrare a far parte della “grande famiglia”, mi hanno offerto la rappresentazione di tante piccole-grandi verità. Ma, soprattutto, mi hanno riportato un’inaspettata freschezza, che ricordava quella dell’infanzia, alimentata però da un vento al quale forse solo in questa età avrei potuto affidarmi. Ho aperto le ali, e, nel volo tra le righe dei balloon, ho assaporato sì la leggerezza delle trovate geniali, delle circostanze buffe e delle battute comiche che, tanti anni prima, avevano plasmato la mia immaginazione e accennato il sense of humour. Ma ho anche colto assai di più.

Questa ritrovata lievità, nel corso di un lavoro che mi richiedeva rigore, precisione e attendibilità, faceva da specchio a un altro processo che avveniva di pari passo: il realizzare lo “spessore” dell’universo dei paperi, di questo mondo parallelo che sta assieme come per un’attrazione di poli opposti. E da questa combinazione tra segni più e segni meno deriva un’assenza di peso. Credo sia qui il vero motivo per cui, leggendo questi fumetti, alla fine ci si sente bene.

Le contraddizioni sono l’incastro che tengono assieme tutto quanto: la povertà con la ricchezza, l’odio con l’affetto, l’antagonismo con la compassione. Paperino incassa i (meritati) rimproveri di Paperina, ma farebbe tutto pur di tenersela, ambiziosa (e non proprio accomodante) com’è. Lo zione con la vecchia palandrana è un avaraccio, ma a suo nipote tutto sommato vuole bene: è piume delle sue piume, e un giorno (che tanto non verrà mai) è a lui che andranno tutte le sue sostanze. Rockerduck, da parte sua, cerca in ogni circostanza di surclassare Paperone, ma non potrebbe vivere senza il suo rivale.

Eccomi qua, dunque, mi vedo passare davanti agli occhi situazioni che conosco assai bene: Paperina che brontola, ma intanto mica cambia fidanzato, Paperoga che si ostina a improvvisare, Paperone che vuole controllare e detenere il monopolio.

E la sfortuna di Paperino?

Paperino, in realtà, non è propriamente “sfortunato”. Spesso i suoi problemi nascono dal fatto di essere irruento, collerico, pigro e disattento.  E cioè dall’andare oltre la misura. C’è poi la disattenzione: il non rispondere a una telefonata (che invece potrebbe cambiargli la giornata, o la vita addirittura) in meglio, il non puntare la sveglia all’ora giusta, l’attraversare la strada senza guardare, il dare retta a personaggi come Paperoga, quando già all’inizio dovrebbe sapere che non gliene verrà nulla di buono.

Insomma è una sfortuna che cambia i connotati e da agente sabotatore anonimo acquisisce le fattezze ben più definite della responsabilità individuale. Chiaro, Paperino è nato e cresciuto negli Usa, dove ci si fa da soli.

Nemmeno Pico de Paperis potrebbe spiegarmelo meglio, è inutile che vada a cercare giustificazioni o capri espiatori per ciò che mi capita: alla base di tutto, ogni giorno, c’è una scelta individuale e forse, se spesso batto la testa, è perché non mi arrovello sulla strada da prendere come farebbe Kirkegaard, ma mi lancio, caricando, come il Marinaio col becco.

Mi ritrovo con il sedere per terra, però a differenza che nei fumetti, non è che non mi sono fatta niente. Certe botte durano tutta la vita.

Solo a Paperopoli torna sempre tutto come prima.


 

L’immagine in alto è tratta dal progetto artistico indipendente “Überall ist Entenhausen”

 

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