Il mio quartiere è a ridosso della zona in cui stanno bruciando i rifiuti. Ieri ricevevo messaggi di amici che volevano sapere se fossimo andate via. Avrei tanto voluto farlo, ma siamo rimaste qui, come tutti gli altri. Evitiamo di stare all’aperto, è l’unica cosa che possiamo fare. Ieri una cappa caliginosa gravava su tutta la Bovisa, ma a rendere l’atmosfera irreale era il fatto che le strade non fossero animate dal solito vociare di bambini che escono dall’asilo, quei segnali di vita che mettono in crisi Dorothea e la fanno rifugiare nell’angolo più remoto della casa. No, non ero sollevata dal non dover consolare mia figlia e spiegargli, come al solito, che prima o poi sarebbero andati tutti a casa.
Nessuno indugiava nel parchetto qui vicino perché era meglio non respirare l’aria di fuori.
Che poi se ti chiudi in casa che cosa cambia? L’aria arriva da fuori. Le autorità dicono che non c’è da temere, che non saremo avvelenati. Le loro rassicurazioni non mi rassicurano.
Tuttavia, dev’essere un incendio a farci rendere conto che non viviamo in condizioni sane? Il veleno lo respiriamo tutti i giorni.
Per qualche tempo, prima di decidermi a cambiare itinerario, allungandolo, al mattino ho portato Dorothea a scuola percorrendo via Scalvini, una strada piccola e stretta, trasformata in un tubo di scappamento. Dal cavalcavia scende una colonna interminabile di auto che si ingorgano per entrare nel quartiere. La strada è uno dei percorsi principali per accedere alla Bovisa, ma non è adatta ad accogliere un bacino di affluenza diventato sempre più grande: con l’università, le aziende che via via si sono trasferite nella zona e i nuovi edifici abitativi. Continuano a costruirne, e dopo i parallelepipedi di Via Cosenz, si stanno aggiungendo i nuovi grattacieli, a ridosso del parco di Villa Litta, tra una ferrovia e una rimessa dei camper. Bell’affare davvero, che panorama! Ma qui, dicono, un giorno ci sarà un parco, con tanto verde. Per ora è impossibile fare questa strada in bici, come un tempo, a meno che non si abbia l’ardire di inalare tutte le polveri che gravitano attorno.
L’incendio della Bovisasca ha avuto più risonanza dopo che l’odore si è sparso per tutta Milano. La gente, leggevo ieri, comprava le mascherine, la psicosi dilagava. Ma noi dovremmo vivere con le mascherine, l’aria a Milano puzza ovunque, anche quando non ci sono incendi segnalati.
Ogni mattina, quando faccio la strada a ritroso, dopo aver consegnato Dorothea all’insegnante di sostegno, osservo la colonna d’auto. E sempre lì, immobile, composta da tanti piccoli abitacoli che ospitano una persona sola, dall’aria tesa e imbronciata, quando non assorbita dallo smartphone. È orario di entrata in ufficio e due addetti al Parking della via si danno da fare per dirigere il traffico agevolando chi cerca di entrare, tagliando la coda nella direzione inversa. Il semaforo verde per chi svolta dura troppo poco. Su un edificio industriale c’è un’enorme tabellone pubblicitario che di solito ospita mega cartelloni con straordinarie offerte compagnie telefoniche per migliorare l’accesso a internet, per vedere film e partite.
Davanti al mio condominio, qualche giorno fa, un anonimo madonnaro di pochi anni ha disegnato sull’asfalto, con dei gessetti colorati, una casetta. Corrisponde in tutto e per tutto al manuale di casetta disegnata dai bambini: con tanto di albero a fianco, albero e nuvoletta.
È da quella nuvola, fatta con un ricciolo bianco, che prendo aria pulita.
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questo è uno dei motivi per cui non riuscirei mai a vivere in città… anche se sono convinta che ormai l’aria e l’acqua non sono più un granchè da nessuna parte, eccetto forse sopra i 2000mt. un abbraccio.
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Vero, l’aria adesso è brutta anche in campagna, me lo dicono anche i miei che stanno in paesello del Monferrato, fortuna che Milano è a ridosso delle montagne. Da casa nostra in meno di un’ora siamo sotto il Resegone.
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