L’amore dopo i vent’anni

9f987068f6482238087ac6c955375581Di matrimoni ne ho visti un po’, ma mai nessuno mi è parso così autentico e vero come quello cui ho partecipato ieri. E proprio a partire dalle premesse: non si trattava di una coppia di ventenni che con sfarzo ed eleganza di abiti e gioventù dichiarava grandi ambizioni e progetti. L’esperienza personale ormai mi porta a far sì che nel contemplare due ragazzi raggianti nell’atto di scambiarsi l’anello mi risuonino dentro le parole di Capossela sarcastico: “Non importa se i cognati sono tutti separati”.

In questo caso, per conforto mio e di molti altri, gli sposi non erano giovanissimi e avevano un matrimonio precedente alle spalle, e figli già uomini, a loro volta fidanzati, che avevano accettato di diventare fratelli senza un’infanzia e un’adolescenza comuni, per condividere, nonostante tutto, una nuova famiglia. Un intrecciarsi di tronchi e rami da piante diverse che si sono trovate a diventare una sola grande creatura arborea che è cresciuta con un adattamento non lineare, a tratti renitente e doloroso. La separazione lascia ferite e la guarigione, per ognuno che ne è coinvolto, richiede tempi diversi. Questi figli dapprima coinvolti in qualcosa che non avevano scelto, erano adesso seduti ai due lati, per fare da testimoni, e hanno preceduto l’uscita dei genitori, dandosi pacche sulle spalle e abbracciandosi, ammirati e sorpresi nell’assistere a un bacio appassionato dei nuovi coniugi, il padre e la madre come non li avevano mai visti e neppure immaginati.

Si erano adoperati a organizzare la festa, a preparare e spedire gli inviti e selezionare la musica. La sposa è stata accompagnata all’evento dal figlio, e quindi non da chi era stata generata, ma da chi aveva generato, e in un’altra relazione. L’ho trovato un cambiamento di prospettiva così potente da apparire quasi audace, anche se poi di fatto è del tutto naturale e un po’ l’ho in un certo qual modo invidiato, quel ragazzo, perché da bambina osservando le foto delle nozze dei miei protestavo: “Sì, ma io dove sono?”.

A celebrare le nozze, in veste di carica pubblica, un’amica che ha assistito al nascere della nuova coppia, e il modo che aveva di rivolgersi a loro, e di adempiere all’incarico civile, era gioioso, vibrava nella condivisione, in modo tale da rendere avvincenti persino gli articoli della costituzione che parlano di diritti e doveri, e loro che con i diritti e i doveri ci si sono già confrontati da un bel po’ e ci hanno anche fatto a cazzotti, chissà che cosa pensavano, forse se la ridevano sotto i baffi, forse invece avevano la sensazione di sentirsi dire quelle cose per la prima volta.

Il matrimonio, ieri, non mi è più parso come un atto di fideistica incoscienza, come l’amarezza della separazione mi aveva condotta a raffigurarmelo. Mi si è presentato, al contrario, come una forma superiore di scelta e di consapevolezza. Passi equilibrati sostenuti dalla conoscenza e dal rispetto reciproco, nell’accettazione delle proprie debolezze e nel rafforzare la scelta di voler stare assieme.

Seduta al tavolo rotondo, nell’abbraccio di cari amici con cui abbiamo condiviso i lividi delle batoste sentimentali, ho sentito che la felicità e l’amore possono arrivare, a dispetto di tutto. Certo, richiedono cura e attenzione, e ascolto di sé e rispetto degli altri, ci vuole pazienza e impegno, per coltivarli, e a volte sembrano non voler fiorire mai, poi quando meno te l’aspetti, ecco che germogliano.


 

Artwork di Ann Kovecses, Yoko Ono + John Lennon

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