La Grande Scuola

scuolaNelle mattine in cui non ha terapia Dorothea entra a scuola alle otto e venticinque, come tutti gli altri. Nell’atrio l’attendono la signora Francesca, l’insegnante di sostegno, e alcuni dei suoi compagni di scuola, i più affezionati, che subito le vanno incontro per salutarla, per abbracciarla. Consegno la cartella alla maestra, ci scambiamo qualche informazione. Per mia figlia, avvolta dagli altri bambini, io perdo consistenza. La maestra insiste comunque perché mi saluti, lei fa un cenno vago senza nemmeno voltarsi nella mia direzione.

E a quel punto mi sento bene.

Rimango a osservarla mentre sale i quattro gradini verso il corridoio delle classi prime: ondeggia con quella sua andatura da equilibrista sui trampoli che mi fa un po’ tenerezza, e insieme mi riempie di ammirazione. Non saprò mai quanto sia difficile per lei coordinarsi a quel modo per compiere ciò che a me non costa nessuna fatica, eppure è chiaro che ce la mette tutta.

Mi sento bene, mentre esco dalla porta a vetri, controcorrente rispetto al flusso di alunni che entrano. Saluto le bidelle, fendo la calca dei saluti, dei capannelli dei genitori.

Mi sento bene. E non è che mi stia auto-convincendo. Dorothea passerà delle buone ore, lì dentro. Lo so. Alle nove farà logopedia via skype seguita da Francesca. Terapia in ambiente scolastico, proposta della neurologia pediatrica. “Per noi va benissimo” avevano detto entusiaste Francesca e Eleonora, l’insegnante prevalente, aggiungendo: “Tutto quel che si può fare per aiutare Dorothea, facciamolo”.

Francesca ed Eleonora credono nel potere della cosiddetta “inclusione”, cui dare la precedenza rispetto alla stessa erudizione. E infatti mia figlia si è fatta tanti nuovi amici. Tra questi ci sono Valeria, una bambina formato mignon, grande come la cartella che porta sulle spalle, e Alessandro Leone, il bambino con le ciglia più lunghe che abbia mai visto e che a Dorothea fa da cavalier servente.

Costeggio il muro che dà sulla strada, la cancellata da cui si vedono le finestre alte che danno sul grande cortile. È un edificio d’inizio Novecento. Fa impressione pensare a quanti scolari siano passati e cresciuti lì dentro. Prima mi incuteva timore l’idea che anche mia figlia finisse lì, inesorabilmente, come tributo umano al grande ventre dell’Istruzione Nazionale. Me la immaginavo sperduta tra il vociare e il brulicare dei giochi di centinaia e centinaia di uomini e donne in miniatura, oppure saltellante in qualche aula vuota, perché incapace di stare tante ore seduta al banco. E il sostegno? Le avrebbero dato tutto quello di cui aveva bisogno? O sarebbe rimasta a girovagare per l’aula mentre le insegnanti cercavano di fare lezione? Tutte le storie di carenza di personale, di tagli dei fondi a favore dei cosiddetti disabili, storie mica per sentito dire, ma ricevute da chi le aveva vissute in prima persona, erano gli spauracchi che infestavano i miei momenti più cupi. E poi, una storia di queste l’avevamo vissuta anche noi, in prima persona, all’inizio della materna.

Ne ho viste di scuole, prima di arrendermi all’idea di portarla nel “casermone”. Scuole private, scuole statali con la fama di essere grandi scuole.

Ma tante cose hanno fatto sì che alla fine Dorothea andassi a iscriverla proprio nella Scuola di inizio Novecento. La differenza la fanno le persone giuste, mi hanno detto, in tanti. E forse è davvero così, ma una cosa è certa: le persone giuste le abbiamo trovate.

3 Comments

  1. racconto di notevolissima sensibilità umana e genitoriale (se non si trattasse di una storia vissuta in prima persona, ne resterei sorpreso, ma nell’eventualità, ciò andrebbe a tutto favore delle capacità empatiche dell’autore del brano, quindi bene lo stesso). Francesca e Eleonora sono evidentemente insegnanti con la I maiuscola e hai ragione, la differenza la fanno le persone giuste. anche se – nota di mesto sconforto di genitore con tre figli ormai grandi – non dovrebbe essere così, sì, intendo, non dovrebbe essere che la sopravvivenza e il buon funzionamento della scuola sia affidato solo alla passione e alla generosità di maestri e maestre capaci di gettare il cuore oltre i “pareggi di bilancio”. dovrebbe essere il funzionamento “spontaneo” delle cose….
    (ps: deve esserci un errore nella frase: “Consegno la cartella alla maestra, ci scambiano qualche informazione.”)

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    1. La ringrazio moltissimo (anche della segnalazione del refuso)! Purtroppo la situazione della scuola al momento è così. A noi in questo giro è andata bene…
      Le auguro buona giornata.

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