Ci sono tante mamme davanti all’ingresso della scuola. Alcuni papà, anche, ma per lo più mamme o almeno la mia attenzione va soprattutto a quest’ultime. Le mie preferite sono “le velate”. Velate rispetto a chi porta un berretto o un casco della bici, come me, o a chi in testa non ha niente. Il velo può essere un foulard che copre solo i capelli, lasciando scoperto il volto, o addirittura un manto che cela tutto, dalla testa ai piedi. Sono mamme-chioccia che di solito hanno tre o quattro figli al seguito, di cui uno immancabilmente nel passeggino. La mia preferita, se così si può dire, sta sotto a una cappa nera e attraverso dei fori rettangolari le sbucano gli occhi: grandi, rotondi. Vivi. Non è la prima con il burka che incontro nel mio quartiere, ma non mi sono mai posta la questione se sia giusto o meno che una donna vada in giro così. Non mi va nemmeno di chiedere a chi ci sta sotto se sia felice o meno di indossarlo. Lei, la mia mamma preferita, lo indossa come fosse un impermeabile. Lì sotto si muove rapida, agile, è molto alta e procede a lunghe falcate. Parla con le altre donne e parlando gesticola, animatamente. Io presto orecchio ai loro scambi, ma non riesco a coglierne niente che è tutto in una lingua che non comprendo. Già al terzo giorno che l’incontravo d’istinto le ho detto “Ciao”, lei mi ha risposto e dai suoi occhi ho capito mi sorrideva e per questo adesso mi considero un po’ sua amica. Ogni volta che la vedo osservo qualche nuovo particolare. Uno scialle a maglia larga, di filo dorato. La tunica nera che arriva fino alla caviglia. Le calze bianche corte, le scarpe da ginnastica beige, che forse le servono per sgattaiolare tra passeggini e bambini, con i suoi guizzi da pivot. E la cappa nera non esiste più.
Foto di Eric Meola