L’anno nudo

happyDorothea lo chiama Cappottanno e non posso che rimirare lo sfolgorio della definizione. Cappottanno: il momento in cui ci infiliamo il cappotto e cioè la divisa, o uniforme o costume, a seconda dell’inclinazione e dei gusti di ciascuno, che abbiamo preparato per il pacchetto dei 365 giorni a seguire (e questo che viene ha pure l’omaggio). Ricerchiamo continuità o rottura a seconda del maggiore o minore successo dello stile indossato nella stagione precedente. Aggiungiamo tasche interne per mettere al sicuro le aspettative, ci cuciamo un colletto per conferirci dignità da rappresentanza, allunghiamo o accorciamo l’orlo delle prospettive e delle ambizioni. Ma alla fine è pur sempre un cappotto. E a voler sviluppare oltre la metafora sartoriale va da sé che bisogna fare attenzione al tessuto, che non sia troppo pesante né troppo leggero, il rischio è di dover ripiegare su un capo già dismesso, e anche se non è tanto logoro… potrebbe non essere più della nostra misura.

Mi lancio una sfida: andare incontro al 2016 senza cappotto. Perché non mi torna più, questa faccenda del Cappottanno. Credo invece nei periodi di muta della pelle, secondo le proprie personali stagioni, che prescindono dai propositi fatti sul giungere della fatidica mezzanotte. Che la mezzanotte, si sa, ti coglie alla sprovvista e finisce che lasci per strada le cose. Se si può scegliere da sé l’inizio, il varo, l’apertura, allora ogni momento può essere buono e quindi propizio.

A proposito di propositi…

L’anno scorso la mia amica geniale Paola mi aveva dato un barattolo vuoto, di quelli che si usano per le conserve, con la chiusura a leva e una guarnizione poderosa. Sul vetro aveva incollato un’etichetta, con uno dei suoi disegni: “Buoni Propositi”. Al terzo bigliettino che ci infilavo dentro, a quell’orbanella, ho avuto l’impressione di mettere i miei proponimenti sottovuoto. Estrapolarli dall’ossidazione della messa in pratica nel tentativo che forgia l’esperienza. Vado a rivedere i bigliettini, è arrivato il momento di liberare i propositi dopo un quarantena prolungata oltre misura. Sono rimasti i tre scritti in gennaio, li rileggo e a distanza di dodici mesi mi sento a metà tra la risentimento e la tenerezza. Che non è proprio quello che sento di meritare, in fin dei conti.

E allora mi auguro un 2016 senza propositi, farò ciò che mi viene.

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