Il Quarto dei Tre

StellaNon è menzionato nemmeno nei vangeli apocrifi, ma tra pieghe di stagnola e batuffoli d’ovatta è spuntato il Quarto Re Magio. Non arriva dalla Persia, ma dalla scatola dove rimangono tutte le statuine scartate, e cioè la panchina dei doppi, dei fragili e dei dippiù, quelli che nella rappresentazione non c’entrano per motivi di spazio e rapporti di prospettiva, abbandonati tra qualche capro e molti, molti ovini: grandi e piccoli, ugualmente carichi di polvere e fatica da un’ennesima transumanza dalla soffitta al soggiorno. I pastori lasciano il bestiame libero di inerpicarsi su montagnole di muschio rinsecchito, le lavandaie e i pescivendoli avviano la loro attività stagionale. Melchiorre, Baldassarre e Gasparre aggirano vette di cartone, spavaldi nella loro vinilica consistenza, con il naso all’insù stringono in una mano chi un turibolo, chi uno scrigno, chi un portagioie.

Ed è a questo punto che una manina mette in scena Lui, il sovrano di gesso, tenuto in conserva perché reputato troppo prezioso, troppo minuscolo, troppo a piedi, troppo “di per sé”. Corona e mantello di zibellino, barba bianca e volto diafano, quasi femmineo. Le braccia che scivolano lungo i fianchi, i palmi rivolti al cielo, come a dire: “Che ci volete fare?”. Si presenta al resto della compagnia, ed è la stessa manina a imprestargli la voce: “Io mi chiamo Amilcare” e così ha inizio il fuori copione. Costui viaggia senza bagaglio. Forse è stato depredato lungo la strada, forse è stato colto da un’improvvisa amnesia. Non ci vuole molto per capire che ha perso di vista la cometa. Semplicemente va. Si ferma a bere al ruscello, ascolta la musica dell’organetto, sosta sul ponte, contempla le forme generose di una panettiera. Non è uno da rimanersene dentro al confine di un simulacro di Palestina umbro-abruzzese. Più spesso se ne sta in bilico su un ramo dell’abete, sotto il caleidoscopio di una pallina che gli fa da mirror ball. Altre volte finisce sul manto del tappeto rosso  davanti al divano. Che si creda (o si finga?) di essere atterrato su Marte? Il bello è che c’è chi lo segue, tra quelli di Betlemme. Lo accompagnano spesso il traghettatore con la zattera e il pastorello seminudo con l’agnello caricato in spalla. Sono in comunella con un topo di pezza e si spostano su uno strombazzante scuolabus giallo. Altro che cammello. Vanno al mare o in piscina, o al ristorante e così, tra un diversivo e l’altro, vivono alla giornata. Chiedo alla manina: “Ma Lui non porta regali a Gesù?”. “No”, sentenzia la manina. Bravo Amilcare, ché tante volte è meglio non fare niente, soprattutto quando non si hanno le idee chiare. E anche quando si crede di averci azzeccato si possono verificare situazioni imbarazzanti: mi sembra quasi di vederlo, lo sguardo che Maria e Giuseppe si scambiano ogni anno: “Mirra?…”

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Artwork di Marc Johns

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