È girata su un fianco, la bocca aperta, appoggiata allʼorso rosa profumato di fragola che le fa da cuscino. Ho acceso la luce per leggere e mentre m’infilo sotto le coperte rimango colpita dal riverbero rossastro sulle ciocche lisce e soffici che, come nastri, le adornano la testa. Mi accorgo di quanto sia piccola, questa testa, e delicata e preziosa. Sotto tutta la massa di capelli lucidi color visone da sei anni si svolge un continuo lavorio.
Quali immagini visitano Dorothea durante il sonno? Con che successione e nessi s’inanellano lʼuna allʼaltra? Quali emozioni creano in lei? E i loro echi lʼaccompagneranno nella giornata che è prossima a venire, e magari alcuni, più forti, lasceranno una traccia sui giorni che verranno. Di tutto questo non posso sapere niente, lei si tiene tutto per sé. Lei che anche quando è sveglia sembra essere la spettatrice di qualcosa che a me sfugge.
Questo è il punto in cui la nostra fusione si scinde. Perché, per quanto io sia ancora legata a lei, io non sono lei.
Se voglio sapere come le è andata a scuola mi devo accontentare del resoconto delle maestre, fatto di corsa davanti alla porta della classe, all’orario d’uscita: “Ha mangiato, non ha dormito, ha urlato.” Ma dentro quell’urlo che cosa cʼera, quali sentimenti, quale frustrazione per non essere in grado di poterli spiegare?
Mi avvicino alla sua nuca fino a quasi ad appoggiare il naso, fino a che il mio orecchio, prossimo a sfiorarla, possa cogliere parole e altri accenni dal brusio che se ne sta annidato lì dentro, geloso di se stesso. Piccola nuca profumata. Aprire il libro che ho sulle ginocchia sarebbe indifferenza per il miracolo che mi dorme accanto. Allora mi corico anch’io e spengo la luce sperando che un sogno mi possa far intuire ciò che non mi è dato conoscere, né capire.
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L’illustrazione è di Aaron Becker, da “Journey”.