Dorothea e io siamo tornate a casa dopo due giorni in Piemonte per le feste di Natale. Lei era felicissima di ritrovare il suo spazio e i suoi giochi. Si è messa sul divano e ha fatto conoscere alla famiglia di orsi profumati alla fragola la nuova arrivata: il Teletubby Lala. Io mi trovavo nella fase del post scarico valigie e borse. Un ammasso di tutto e di più stipato davanti all’ingresso. Siamo due donne, non viaggiamo mai leggere, dobbiamo avere sempre con noi tutto quello che ci serve e poi c’erano i regali ricevuti dalla cerchia di tutto il parentame più le scorte alimentari che se sono confezionate dalla mamma/nonna non le puoi rifiutare. E mentre ridistribuivo negli armadi e nei cassetti tutte le cose che vi avevo prelevato solo quarantott’ore prima, mentre gettavo nel cesto della biancheria maglie e calzamaglie, mentre cercavo una collocazione a tutte le nuove cose che entravano a far parte della nostra già affollata famiglia di cose sentivo un’uggia che lentamente mi si andava a sedimentare sul fondo più profondo di me. Il fatto è che guidando verso casa mi è venuto in mente il post che avevo scritto sulle recite di Natale. Una ragazza che di mestiere fa la maestra lo ha segnalato a un gruppo Facebook di colleghe e data la velocità di trasmissione dei social network il testo in pochi giorni è stato letto da tantissime persone “del settore”. All’inizio ne ero contenta, ma poi la cosa m’è dispiaciuta perché mi sono resa conto di aver aperto una questione senza avanzare nessuna proposta a seguito delle riflessioni fatte. Mi sembra giusto e doveroso completare quel post aggiungendo che in occasione di un’eventuale prossima festa, adesso, parlerei prima con le maestre, che tra l’altro si sono sempre dimostrate molto attente nei confronti di mia figlia, oltre che rispettose verso me in quanto madre. Condividerei con loro il mio stato d’animo e le mie perplessità. Perché non l’ho fatto prima? Perché solo ora riesco a mettere a fuoco che questo “problema” non è qualcosa che va necessariamente vissuto, o, peggio “subito”, ma può essere anche affrontato in modo aperto. Perché io per prima sto scoprendo che il concetto di integrazione è più sfaccettato e complesso di come l’ho sempre inteso. In questo viaggio al fianco di mia figlia procedo per tappe. Di volta in volta mi misuro con un nuovo aspetto che fino a ieri avevo ignorato, più o meno inconsciamente. È una discesa verso la profondità e, insieme, una risalita, dopo essermi liberata di una zavorra.