A proposito della ricerca di quello che sta fuori luce, che sembra impenetrabile e verso il quale ci protendiamo, perché sentiamo di volerlo (o doverlo) conoscere, perché è giusto così, altrimenti rimarrà invisibile e quindi muto, cito un passaggio dal libro di Paolo Cognetti, che ho già menzionato nel mio post del 7 dicembre. Fa riferimento a Grace Paley, narratrice, poetessa, ma anche insegnante e attivista politica. “Scrivere di donne è un atto politico, diceva (Grace Paley). Ascoltare chi non viene ascoltato da nessuno: ecco cos’è politico. Non aveva paura di usare quella parola pericolosa, perché la politica raramente produce buona letteratura. A meno che – mi viene in mente leggendo i suoi racconti – idee come il femminismo, l’anarchismo, il pacifismo, non siano il fine ma il mezzo della scrittura. Non una verità da sostenere ma uno strumento di osservazione, una speciale sensibilità di cogliere le voci dal mondo. Lei lo diceva così:
Secondo me, una delle cose di cui l’arte di occupa – vale a dire ciò di cui si occupa la giustizia, anche se ciascuno la vedrà in modo diverso – è fare luce su quello che non conosciamo, stanare ciò che sta nascosto sotto il sasso.”
E poi ancora:
Il che ci porta alla scrittura: a come siamo arrivate a scrivere, a pensare alla scrittura. Personalmente, mi sono ritrovata a pensare da scrittrice perché avevo cominciato a vivere in mezzo alle donne. E la cosa sensazionale è che non le conoscevo, non sapevo chi fossero. Mentre avrei dovuto, con tutte le zie che avevo, giusto? Eppure non le conoscevo, e questa secondo me è l’origine di tanta letteratura. La letteratura non nasce da ciò che sappiamo, ma da ciò che non sappiamo. Che ci attira. Che ci ossessiona. Che vogliamo conoscere.”
(“A pesca nelle pozze più profonde” di Paolo Cognetti, edito da minimum fax, pagine 69 e 70 . Il corsivo è mio)
Mi ci ritrovo pienamente, in questo pensiero. E sono convinta che sia proprio l’origine delle pagine che sto postando su questo blog. Aprire gli occhi e scoprire di vivere nel bel mezzo di una realtà che viene spesso “imboscata” perché fa paura. La paura di scoprire qualche cosa che ci appartiene, che portiamo dentro di noi stessi, relegato in un angolo d’ombra.
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La foto, A Walk with Hopper, è di Stefano Corso: http://www.stefanocorso.com/gallery/conceptual/