Non è un arnese per vecchi. E neanche per disabili.

Week-end dai nonni, in Piemonte. Al ritorno Dorothea è così stanca che si addormenta non appena imbocchiamo l’autostrada. La testa le ciondola in avanti, rispetto al resto del corpo aderente allo schienale del seggiolino. Le guance pienotte, accaldate, la bocca aperta: sta russando. Quando dorme è una bambina. Punto. Spesso ho l’impressione, (non già l’illusione, e nemmeno la speranza, è qualcosa che assomiglia più a una fideistica preveggenza) che al risveglio mi parlerà. Mi parlerà sul serio. Niente di “oracolare”. Di solito dal suo lavorio interiore lascia affiorare, a voce alta, cose tipo “elefante spento, o “finestra marrone”. Anche se non è sempre così. Ci sono delle volte (e da un po’ di tempo stanno diventando più frequenti), in cui risponde a una domanda o fa un’affermazione pertinente a quello che sta accadendo. Sono tuttavia occasioni che, quando si presentano, per me hanno l’aura del prodigioso. Non so perché mi aspetti che un “prodigio permanente” possa avvenire proprio dopo un sonno. Forse perché si dice che il sonno sia “riparatore”. Forse perché le principesse dopo il bacio si ridestano a vita nuova e tutto diventa roseo e comincia a filare liscio. I primi tempi in cui aveva preso a parlare e sperimentava l’unione di due o più parole era diventato una specie di divertimento, per me e suo padre, sentire quale sarebbe stata la sua prima frase dopo il risveglio. Come se potesse essere rivelatoria di qualche segreto che a noi non è ancora data la possibilità di scoprire, ma di cui la soluzione è comunque a portata di mano. Approfittando del poco traffico, dalla postazione di guida le lancio qualche rapida occhiata. Lei reclina la testa di colpo, apre gli occhi a mezz’asta, sembra quasi risvegliarsi, mastica saliva, placida, e poi riprende a russare, con maggior gusto di prima. Posso azzittire il cd con le canzoncine di Peppa Pig.
Oggi è stata una giornata impegnativa: c’era la festa di compleanno di un cuginetto, che ha compiuto sei anni in una ludoteca creata negli spazi di una vecchia fabbrica. Mia cognata mi aveva sempre descritto quel posto come un’isola felice per tutti i bimbi: gonfiabili, pista go-kart, campo di calcetto e, al secondo piano, area attrezzata con tavoli e sedie per poter ospitare le feste di compleanno. Non potevamo mancare.
Ecco com’è andata.
 All’ arrivo non posso che dare ragione a mia cognata: chi ha messo su questa impresa ci sa fare, lo spazio è fornito di tutto. Mi dà subito nell’occhio il bancone-bar, non male l’idea di pensare anche ai genitori! Sarei quasi tentata di farmi un caffé, che è un momento di beatitudine che cerco sempre di ritagliarmi quando sono fuori. È una piccola sfida se con me c’è Dorothea, perché lei non sta mai ferma, salta, va addosso a cose e a persone, corre. Ma qui tutti i bambini corrono. Sorvegliati dal personale di sicurezza: tre signori sui quarant’anni con indosso una maglia arancione decorata da palme e banane. I bambini devono indossare calze antiscivolo, gli adulti basta che tengano le scarpe avvolte in quei sacchetti di nylon azzurro, che fanno un po’ puffo con la gotta. Per i genitori che non vogliono accrocchiarsi in piedi ci sono anche delle sedie, nella sala centrale, davanti ai gonfiabili.
Il rapporto di Dorothea con luoghi di questo genere è contradditorio: ne è attratta, ma al tempo stesso impaurita. L’attraggono: i gonfiabili e il fatto che i bambini ci salgano sopra e riescano a divertirsi. La impauriscono: le urla che fanno gli stessi bambini nel lanciarsi giù dallo scivolo, nel saltare, nel rincorrersi, e, soprattutto, l’incontrollabilità dell’andari vieni indiavolato. È affascinata dall’idea di poter saltare anche lei, ma si trattiene. Forse perché non si sente abbastanza forte e abile fisicamente, forse perché teme il salto in sé (e chi di noi non lo teme?). Risultato è che sta ai bordi, e guarda i bambini. A volte riesce a creare un qualche tipo di “aggancio visivo”. Questo capita quando i bambini non sono molti, se qualcuno tra loro nota che lei li sta osservando, e vuole gratificarla dell’attenzione mettendosi in mostra. In questi casi lei comincia a ridere e non la smette più. Ma se sono tanti e il chiasso è amplificato allora rimane in disparte o, addirittura, mi guarda da sotto in su e mugugna una delle sue implorazioni più frequenti: “Andiamo via” o “Andiamo fuori”. Quando mi chiede di andare via io provo sia il sollievo di non essere costretta ad assistere alla sua (auto)esclusione sia la frustrazione di dover fare dietro front per l’ennesima volta. Solo così, per scrupolo, provo a convincerla a fare diversamente, a lasciarsi tentare, a trovare un motivo interessante per rimanere, ma non mi vengono fuori che esortazioni così deboli e poco convincenti che mi trovo patetica da sola e alla fine le do retta.

Oggi però dobbiamo resistere: è il compleanno del cuginetto. Dapprima cerco di farla interessare a un’area recintata con dondoli e uno scivolo minuscolo che affonda in un pozzetto di palline. Questa deve essere l’area dedicata ai piccolissimi, lo si capisce anche dal fatto che, a fianco del recinto, ci sono delle poltrone basse e una tavolino sovraccarico di riviste femminili dalle pagine fruste. Oggi di piccolissimi non ce ne sono e nell’area transitano solo sono un paio di bambini che hanno almeno l’età di Dorothea. Date le circostanze, lei nella zona baby potrebbe muoversi tranquilla, ha anche il suo orso con cui giocare. Cerco così di invitarla verso lo scivolo mignon ma lei caccia un grido esasperato. Di fatto ha ragione, non posso sottovalutare che lei ormai ha cinque anni e mezzo. Insomma, perché proprio io devo relegarla nel girone dei ritardati? Non rimane che buttarsi nella mischia: la porto verso i gonfiabili. Nella sala grande ce ne sono tre, di cui uno misteriosamente deserto, tutto arancione torbido, tipo sugo di pomodoro su una pizza surgelata. Non riesco a capire il motivo per cui sia deserto, lo osservo, a me sembra come tutti gli altri, ma non ho un’esperienza diretta in materia, bisognerebbe intervistare gli utenti interessanti. Quello che è certo è che un gonfiabile negletto significa possibile divertimento esclusivo per noi. Cerco di incoraggiare Dorothea a salirivi, ma lei, come da copione, mi dice: “Non lo vuoi”. Siccome so che c’è “non lo vuoi” e “non lo vuoi” e lei sta significativamente troppo a ridosso di quei mega strati salsicciosi, capisco che posso provare a fare “un colpo”: la prendo in braccio e approfittando dell’entrata piuttosto larga, faccio irruzione, passando attraverso la tenda a rete. La faccio atterrare, prendo le sue mani nelle mie. Lei esplode in uno di quei suoi sorrisi a bocca spalancata, così grandi che gli occhi le si stringono in una scintillante fessura. “Salta, salta!” grida. È andata bene, mi sta ricompensando per l’azzardo. E mentre salto e sento la pressione del cervello contro la calotta cranica mi godo questa trasgressione al regolamento che vieta ai genitori di salire. Per qualche minuto sperimento il sobbalzo, non così piacevole come avrei immaginato: la sensazione di assenza di gravità nella sospensione quando mi elevo è mortificata da una sorprendente scarsezza di ammortizzazione in fase d’atteraggio. Però almeno provo l’ebbrezza dell’impunità e sto quasi per abituarmi all’idea che a noi questo sia dovuto per qualche compensazione divina, quando uno dei tipi in maglietta arancione si avvicina. Inutile cercare di ignorarlo, sta facendo di no con il dito. Stop ai salti. Lascio le mani di Dorothea che piomba giù, come un sacco. “Mamma deve scendere” spiego e non aggiungo altro. Maglietta arancione, sei hai un poco d’anima dovresti sentirtela sotto i piedi. Scivolo giù, poso a terra le gambe che sembrano diventate di cemento. Eccoti lì, Doro. Inerte, al di là della rete. “Dai prova a saltare da sola” la esorto con il mio tono della triste entusiasta, ma non reggo e subito incalzo: “Vuoi scendere?”. “Vuoi scendere?” ripete lei, delusa. Allora vado dalla maglia arancione, e faccio una cosa alla quale in genere non mi abbasso mai, e cioè la metto sul patetico: “Mia figlia ha un handicap – handicap, dico proprio così -, mi faccia restare lì con lei, da sola non salta, almeno così si diverte un pochino anche lei…” La maglia arancione mi spiega che se dà il permesso a me creerebbe un precedente. Mi guardo attorno, e a parte il un crocchio di papà che parlano di calciomercato e una mamma su una sedia con la vitalità di una statua, non mi sembra ci sia nessun genitore smanioso di saltare. Vorrei ribattere che quello è il gonfiabile sfigato, che nessuno bambino si degna di salirvi, ma mi trattengo. Visto che insisto tanto sul fatto che i disabili abbiano gli stessi diritti dei “normodotati” devo accettare il fatto che abbiano anche gli stessi doveri. Anche se questo episodio mi fa pensare che c’è differenza tra principio egalitario e omologazione. Le seconda è la versione più pratica e efficace del primo: trattare tutti allo stesso modo, senza eccezione, crea meno problemi. Ho il permesso di rientrare sul mega salsiccione solo per portare via la bambina da quella che adesso ha tutta l’apparenza di una grottesca gabbiona cicciosa. Però. Quel poco di adrenalina che prima ci siamo conquistate sembra averla messa di buon umore. Dorothea saltella, corre verso il gonfiabile che sembra essere il più richiesto, uno non più grande del primo, ma verde scuro, misterioso e un po’ inquietante, con varie entrate ed uscite, e nessuna rete dal quale si possa almeno spiare quello che ci accade. Qui, dietro le pareti di gomma tapezzate di Warning in inglese e relativa traduzione italiana delle Norme di sicurezza, i bambini non si vedono, se ne sentono solo le urla selvagge. Provo un’istintiva repulsione per quest’orco-balocco, ma a Dorothea sembra proprio che piaccia. Sta a vedere che in questo ci entra da sola, mi dico e voglio credere la miracolo. Ma no, lei fa come con quell’altro. Si appiccica all’entrata, che qui è solo un foro, che potrebbe essere sia la bocca o quanto il dereteano dell’orco. Così facendo rischia ogni volta di prendersi un calcio in faccia da ogni bimbo che ci sgattaiola dentro o fuori. Comincio ad averne abbastanza: Doro, andiamo a mangiarci un panino con il salame. Il panino col salame vince sempre.

gonfiabili
L’orco-gonfiabile dice: venite a me!

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