Oggi però dobbiamo resistere: è il compleanno del cuginetto. Dapprima cerco di farla interessare a un’area recintata con dondoli e uno scivolo minuscolo che affonda in un pozzetto di palline. Questa deve essere l’area dedicata ai piccolissimi, lo si capisce anche dal fatto che, a fianco del recinto, ci sono delle poltrone basse e una tavolino sovraccarico di riviste femminili dalle pagine fruste. Oggi di piccolissimi non ce ne sono e nell’area transitano solo sono un paio di bambini che hanno almeno l’età di Dorothea. Date le circostanze, lei nella zona baby potrebbe muoversi tranquilla, ha anche il suo orso con cui giocare. Cerco così di invitarla verso lo scivolo mignon ma lei caccia un grido esasperato. Di fatto ha ragione, non posso sottovalutare che lei ormai ha cinque anni e mezzo. Insomma, perché proprio io devo relegarla nel girone dei ritardati? Non rimane che buttarsi nella mischia: la porto verso i gonfiabili. Nella sala grande ce ne sono tre, di cui uno misteriosamente deserto, tutto arancione torbido, tipo sugo di pomodoro su una pizza surgelata. Non riesco a capire il motivo per cui sia deserto, lo osservo, a me sembra come tutti gli altri, ma non ho un’esperienza diretta in materia, bisognerebbe intervistare gli utenti interessanti. Quello che è certo è che un gonfiabile negletto significa possibile divertimento esclusivo per noi. Cerco di incoraggiare Dorothea a salirivi, ma lei, come da copione, mi dice: “Non lo vuoi”. Siccome so che c’è “non lo vuoi” e “non lo vuoi” e lei sta significativamente troppo a ridosso di quei mega strati salsicciosi, capisco che posso provare a fare “un colpo”: la prendo in braccio e approfittando dell’entrata piuttosto larga, faccio irruzione, passando attraverso la tenda a rete. La faccio atterrare, prendo le sue mani nelle mie. Lei esplode in uno di quei suoi sorrisi a bocca spalancata, così grandi che gli occhi le si stringono in una scintillante fessura. “Salta, salta!” grida. È andata bene, mi sta ricompensando per l’azzardo. E mentre salto e sento la pressione del cervello contro la calotta cranica mi godo questa trasgressione al regolamento che vieta ai genitori di salire. Per qualche minuto sperimento il sobbalzo, non così piacevole come avrei immaginato: la sensazione di assenza di gravità nella sospensione quando mi elevo è mortificata da una sorprendente scarsezza di ammortizzazione in fase d’atteraggio. Però almeno provo l’ebbrezza dell’impunità e sto quasi per abituarmi all’idea che a noi questo sia dovuto per qualche compensazione divina, quando uno dei tipi in maglietta arancione si avvicina. Inutile cercare di ignorarlo, sta facendo di no con il dito. Stop ai salti. Lascio le mani di Dorothea che piomba giù, come un sacco. “Mamma deve scendere” spiego e non aggiungo altro. Maglietta arancione, sei hai un poco d’anima dovresti sentirtela sotto i piedi. Scivolo giù, poso a terra le gambe che sembrano diventate di cemento. Eccoti lì, Doro. Inerte, al di là della rete. “Dai prova a saltare da sola” la esorto con il mio tono della triste entusiasta, ma non reggo e subito incalzo: “Vuoi scendere?”. “Vuoi scendere?” ripete lei, delusa. Allora vado dalla maglia arancione, e faccio una cosa alla quale in genere non mi abbasso mai, e cioè la metto sul patetico: “Mia figlia ha un handicap – handicap, dico proprio così -, mi faccia restare lì con lei, da sola non salta, almeno così si diverte un pochino anche lei…” La maglia arancione mi spiega che se dà il permesso a me creerebbe un precedente. Mi guardo attorno, e a parte il un crocchio di papà che parlano di calciomercato e una mamma su una sedia con la vitalità di una statua, non mi sembra ci sia nessun genitore smanioso di saltare. Vorrei ribattere che quello è il gonfiabile sfigato, che nessuno bambino si degna di salirvi, ma mi trattengo. Visto che insisto tanto sul fatto che i disabili abbiano gli stessi diritti dei “normodotati” devo accettare il fatto che abbiano anche gli stessi doveri. Anche se questo episodio mi fa pensare che c’è differenza tra principio egalitario e omologazione. Le seconda è la versione più pratica e efficace del primo: trattare tutti allo stesso modo, senza eccezione, crea meno problemi. Ho il permesso di rientrare sul mega salsiccione solo per portare via la bambina da quella che adesso ha tutta l’apparenza di una grottesca gabbiona cicciosa. Però. Quel poco di adrenalina che prima ci siamo conquistate sembra averla messa di buon umore. Dorothea saltella, corre verso il gonfiabile che sembra essere il più richiesto, uno non più grande del primo, ma verde scuro, misterioso e un po’ inquietante, con varie entrate ed uscite, e nessuna rete dal quale si possa almeno spiare quello che ci accade. Qui, dietro le pareti di gomma tapezzate di Warning in inglese e relativa traduzione italiana delle Norme di sicurezza, i bambini non si vedono, se ne sentono solo le urla selvagge. Provo un’istintiva repulsione per quest’orco-balocco, ma a Dorothea sembra proprio che piaccia. Sta a vedere che in questo ci entra da sola, mi dico e voglio credere la miracolo. Ma no, lei fa come con quell’altro. Si appiccica all’entrata, che qui è solo un foro, che potrebbe essere sia la bocca o quanto il dereteano dell’orco. Così facendo rischia ogni volta di prendersi un calcio in faccia da ogni bimbo che ci sgattaiola dentro o fuori. Comincio ad averne abbastanza: Doro, andiamo a mangiarci un panino con il salame. Il panino col salame vince sempre.
